Lutto nel mondo del pallone. O’Rey non è riuscito a vincere la sua battaglia più importante, quella contro la malattia
Un altro pezzo di storia del calcio se ne va. La notizia era nell’aria, ma fa impressione solo a dirlo e a scriverlo. Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè, non è riuscito a vincere la sua battaglia più importante, quella contro la malattia: nel 2021 gli era stato diagnosticato un tumore al colon, negli ultimi mesi però le sue condizioni sono peggiorate fino a ieri, quando O’Rey si è spento circondato dall’affetto dei suoi cari a 82 anni. Gambe ipertrofiche, potenza in ogni gesto e insieme agilità, equilibrio sublime, un qualcosa di esplosivo ed elastico. Si possono riassumere in queste poche parole le caratteristiche di uno dei giocatori che ha per sempre cambiato il mondo del pallone a suon di goal e giocate. La tecnica mostruosa, la visione di gioco impressionante, unita al dribbling, alla precisione nel tiro e nel colpo di testa, hanno fatto innamorare tutti. “Meglio Pelé o Maradona?”, si chiedevano in tanti. Risposta impossibile, è come dover scegliere tra Leonardo e Michelangelo. Il brasiliano è arrivato prima, in un calcio diversissimo e non ancora mondializzato. Forse, se vogliamo essere precisi l’unico neo che ha avuto, è il fatto di non essersi mai cimentato nel calcio europeo per la legittima consacrazione a più forte indiscusso di tutti i tempi. Sono in tutto 1.281 i gol messi a segno in 1.363 partite, numeri difficili da eguagliare anche per uno come Messi e poi 77 reti in 92 gare con la nazionale verde-oro, con la quale ha vinto 3 Mondiali. Il primo a soli 17 anni nel 1958, segnando 3 volte in semifinale e due in finale. Poi invece nel 1962 e 1970. Con il Santos invece, ha vinto dieci volte il campionato Paulista, quattro il Torneo Rio-San Paolo e cinque la “Taça Brasil”, o Coppa del Brasile. E anche due Libertadores, due Coppe Intercontinentali e una Supercoppa. Con i New York Cosmos ha conquistato un Campionato Nasl, lanciando il ‘soccer’ in Nordamerica. Nel nostro continente abbiamo imparato ad apprezzarlo quando non aveva ancora 18 anni ed era la riserva di Josè Altafini. Insomma, un Dio omerico, un pezzo pregiato di umanità, il talento che non ha prezzo ma solo valore e un esempio non solo nel rettangolo verde, ma nella vita reale. Sì, perché è cresciuto nella miseria con la mamma lavandaia che aiutava, prima di scappare in strada per giocare con il pallone. Era timido ma già bravissimo. «Mi chiamavano Pelè e io non ne capivo il motivo. Non capivo se mi prendevano in giro o volessero dire qualcos’altro», diceva lui. Il resto poi è storia. Forse il suo ricordo non ci lascerà mai perché il suo mito è immortale. Un giocatore clamoroso, senza ruolo né confini calcistici. Era semplicemente e magnificamente O’Rei, il più grande di sempre.